POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

mercoledì, luglio 31

La nuova silloge poetica di Gavino Puggioni





Maristella Angeli ci informa

Un evento da non perdere!
Sono stata selezionata ed esporrò il mio dipinto “Dimensione del sé”
Un abbraccio a voi tutti

Maristella Angeli
INVITO
“HUMAN RIGHTS? 2013” 
111 Artisti da 25 nazioni parlano dei Diritti Umani e della loro violazione 
Curatore Roberto Ronca


Dal 10 agosto al 10 settembre 2013 
vernissage sabato 10 agosto ore 20,00 
orario apertura: dal martedì alla domenica dalle 20,00 alle 23,00 

Ex Convento dei Francescani neri 
Specchia (Lecce)

Via P. Orsini – Specchia (Lecce)

GLI ARTISTI 



Carla Abbondi, Gina Affinito, Ajnos, Maristella Angeli, Donato Arcella, Erika Azzarello, Agnese Bagnardi, Nina Todorovic & Claudio Bandini, Davide Barbanera, Maurizio Barraco, Trina Batchelor, Beata Będkowska, Sandy Bellantoni , Billie Jean, Heidi Bjork, Silvia Boldrini, Stefano Bonazzi, Katt Boselli, Antonella Botticelli, Brizzo, Annamaria Cacciapaglia, Massimo Cappellani 
Cosimo Carola, Pablo Caviedes, Viviana Cazzato, Giovanni Colaneri, Laura Collins, Francesco Contarini, Mariana Cornea, Enrico Corti, Dario de Cristofaro, Luigi De Giovanni, Leticia De Hoyos, Debora De Massimo, Giulia Raffaella De Pinto, Maria Di Cosmo, Dario Di Franco, Lorenzo Di Fulvio, Tonia Erbino, Estartùs, Paolo Facchinetti, Chritos Alaveras & Christina Foitou, Cristina Fornarelli, Antonio Fumo, Jimmy Galvin, Cristina Gandini, Roberta Garzillo, Natalia Gromicho, Gruppo Amer, He Si'en, Theo Hues, Cesare Iezzi, Odile Jaouen, Maria Karzi, Luigi Latino, Josef Leitner, Jeanette Luchese, Luca Luciano, Salvatore Lucisano, Pamela Maglie, Alessandra Mai, Marina Mancuso, Alessandro Mangione, Rocco Manniello, Mascàpo, Roberta Masciarelli, Marco Matta, Andrea Mattiello, Kyra Matustikova, Francesca Mazzotta, Francesco Mestria, Marcello Minnia, Anna Molentino, Piero Motta, Patrizia Nicolini, Mara Stefana, Oprea 
Oresteia Papachristou, Yael Peleg, Alvaro Peña, Prabu Perdana, Marco Pettinari, Gianluca Piaccione, Luca Piccini, Ortenzia Piccinno, Gabriele Pici, Alessandro Piras, Simona Pocorobba, Germana Ponti, Cristina Predratscher, Maria Luisa Previti, Nanda Rago, Gualtiero Redivo, Miguel Rodrigues, Francesca Ruggiero, Concetta Russo, Silvano Santi, Giuseppe Sassone, Savanasnegras, Rosa Screnci, Maria Jole Serreli, Antonella Soria, Ruggiero Spadaro, Ivan Sumanov, Roberto Testori, Mantha Tsialou, Elettra Vinelli, Massimo Volponi, Karen Wild, Salvatore Zacchino, Nasy Zachou, Antonella Zito 


lunedì, luglio 29

CANTICO DELLE CREATURE

La bellezza di questo cantico, consiste anche nel fatto che possiamo viaggiare a ritroso nel tempo, ed ascoltare la lingua parlata da San Francesco. La pubblico su suggerimento di Angela Fabbri, vogliamo ricordare il Poverello d'Assisi e questo nostro Papa, di cui ha voluto prendere il nome e l'esempio.

Giotto: San Francesco


Attribuito a San Francesco d'Assisi

testo originale, in volgare

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.


Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorna, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.



Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.



Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.



Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.



Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.



Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.



Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate

Testo in italiano

Altissimo, onnipotente, buon Signore
tue sono le lodi, la gloria e l'onore
ed ogni benedizione.
A te solo, Altissimo, si confanno,
e nessun uomo è degno di te.


Laudato sii, o mio Signore,
per tutte le creature,
specialmente per messer Frate Sole,
il quale porta il giorno che ci illumina
ed esso è bello e raggiante con grande splendore:
di te, Altissimo, porta significazione.



Laudato sii, o mio Signore,
per sora Luna e le Stelle:
in cielo le hai formate
limpide, belle e preziose.



Laudato sii, o mio Signore, per frate Vento e
per l'Aria, le Nuvole, il Cielo sereno ed ogni tempo
per il quale alle tue creature dai sostentamento.



Laudato sii, o mio Signore, per sora Acqua,
la quale è molto utile, umile, preziosa e casta.



Laudato sii, o mio Signore, per frate Fuoco,
con il quale ci illumini la notte:
ed esso è robusto, bello, forte e giocondo.



Laudato sii, o mio Signore, per nostra Madre Terra,
la quale ci sostenta e governa e
produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba.



Laudato sii, o mio Signore,
per quelli che perdonano per amor tuo
e sopportano malattia e sofferenza.
Beati quelli che le sopporteranno in pace
perchè da te saranno incoronati.



Laudato sii, o mio Signore,
per nostra sora Morte corporale,
dalla quale nessun uomo vivente può scampare.
Guai a quelli che morranno nel peccato mortale.
Beati quelli che si troveranno nella tua volontà
poichè loro la morte non farà alcun male.



Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo
e servitelo con grande umiltate.


Canto notturno di un pastore errante dell'asia

Antonio Berté: quadro ispirato alla poesia di Leopardi, qui sotto riportata



Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E' la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale. 


Giacomo Leopardi

Questa poesia la dedico all'amica scrittrice Angela Fabbri, che me l'ha citata attraverso due brani in una sua email. Abbiamo parlato di pecore, di quelle smarrite e di quelle che si smarriranno, o che non si sono mai perse, questa poesia ne è la giusta cornice.

Lumen fidei

Dopo il precedente articolo, sul rischio di perdere la fede quando accadono fatti che sconvolgono, e che era volutamente provocatorio, vorrei riportare l'introduzione della lettera enciclica Lumen Fidei del Sommo Pontefice FRANCESCO ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici, sulla fede.

LA LUCE DELLA FEDE: con quest'espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: " Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre". (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: " E Dio, che disse: 'Rifulga la luce nelle tenebre', rifulge noi nostri cuori".(Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, "Sol invictus",invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull'intera esistenza dell'uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale,il suo raggio è incapace di arrivare fino all'ombra della morte, là dove l'occhio umani si chiude alla sua luce. "Per la sua fede nel sole - afferma san Giustino martire . non si è mai visto nessuno pronto a morire". Consapevoli dell'orizzonte grande che si apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole,"i cui raggi donano la vita". A Marta,che piange la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la Gloria di Dio?".(Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Una luce illusoria?

Eppure, parlando di questa luce della fede, possiamo sentire l'obiezione di tanti nostri contemporanei. Nell'epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l'uomo diventato adulto,fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all'uomo di coltivare l'audacia del sapere. Il giovane Nietzsche invitava la sorella Elizabeth a rischiare, percorrendo "nuove vie.., nell'incertezza del procedere autonomo". E aggiungeva: "A questo punto si separano le vie dell'umanità: se vuoi raggiungere la pace dell'anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga": Il credente si opporrebbe al cercare. A partire da qui, Nietzsche svilupperà la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell'esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora come un'illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani.

In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l'uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l'uomo nella paura dell'ignoto. E così l'uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione.

Una luce da riscoprire

E' urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti,un carattere singolare,  essendo capace  di illuminare tutta l'esistenza dell'uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi,  deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. La fede nasce dall'incontro col Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo Amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore, riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c'è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte,la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l'ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio, che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede davanti a San Pietro, la descrive come una "favilla, che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla". Proprio di questa luce della fede vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l'uomo è particolarmente bisognoso di luce.
Da qui in poi, consiglio di leggere il libretto di tutta l'enciclica.

Lo stavo leggendo ieri sera, dopo aver discusso con l'amica scrittrice Angela Fabbri, piuttosto animatamente, sul tema della "Pecora smarrita". Stamattina mi ronzava in testa quel pensiero sui santi che non hanno protetto i pellegrini che stavano recandosi, o tornando, dai santuari a loro innalzati.
Forse, e lo dico sottovoce, anche noi cristiani ci stiamo costruendo idoli. Idoli umani, ma pur sempre idoli. Dice il Signore: "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altri dei all'infuori di me". Solo a Lui dobbiamo guardare, solo in Lui dobbiamo credere, rivolgerci per i nostri bisogni materiali e spirituali. E alla Sua Mamma, che intercederà per noi. I Santi sono persone che hanno seguito la Sua Parola, che l'hanno fatta propria, ma sono esseri umani. Noi dobbiamo prenderli ad esempio, non adorarli. Forse, e anche qui lo dico piano piano, abbiamo esagerato nel innalzare troppo i santi, che a volte anteponiamo a Dio. E Dio ce lo ha voluto far intendere, attraverso gli incidenti occorsi ai pellegrini, non certo voluti da Lui, che non andavano ad un incontro con Dio, ma con un essere umano, per quanto considerato santo. 

Danila Oppio


I santi ci proteggono?

San Jago de Compostela
San Padre Pio da Pietralcina















Ma che succede?




Qualche giorno fa, l’incidente ferroviario in Spagna.  I vagoni carichi di pellegrini diretti a Santiago di Compostela.
Ieri sera, un pullman è precipitato da un viadotto in Irpinia, altri pellegrini che tornavano da una visita alla Basilica di San Padre Pio.


Coincidenze? Mi chiedo: ma questi santi, come mai non hanno protetto coloro che speravano nel loro aiuto? Mi direte che è la stessa domanda che si pongono quelli che, subite grandi sventure, si chiedono dove fosse Dio in quel momento. Si, è proprio così, e me lo chiedo spesso anch’io. Dove sono in nostri santi protettori, in questi frangenti? Hanno girato la testa, guardando altrove? O non sono così tanto santi da poter intercedere presso il Signore, e ci siamo sbagliati ad innalzarli agli altari?
Sono una credente, ma quando succedono queste disgrazie collettive, proprio a pellegrini che si recavano, o si sono recati, in luoghi di culto, la mia stessa fede subisce una forte scossa.
Preghiamo per questi morti, speriamo che Dio li abbia già accolti nel Suo Paradiso, poiché lo meritano. Mi auguro che quegli incidenti siano stati per chi li ha subiti, la direttissima per il Cielo.


Danila Oppio

Il mondo di Oliva

Pferschy Karl: donne della Val Sarentino
Il mondo di Oliva
è senza rumori
ma non servono voci
per  pulire la casa
e cuocere i cibi
si può stare anche senza parlare o
sentire
e poi basta sedersi un po’ sul terrazzo
e guardare la vita che scorre
laggiù nella strada
Qualche anima buona
ogni tanto
 la viene a trovare
la Oliva
ed è bello in due sferruzzare
parole in silenzio
e accennare ogni tanto col capo
un’intesa sospesa
preziosa
sì, sì .



Giovanna Giordani -

domenica, luglio 28

Pecore smarrite o no?

(da e-mail fra me e Danila, messe insieme da lei)
Pecore smarrite o no?
Senti, ho scritto qualcosa stanotte che sembra un pensiero parallelo a Gesù. Penso a lui da tantissimo tempo e, dopo Lucifero (che ho visto,  in chiave politica nei rapporti di potere, costretto a divenire rivoluzionario) e dopo Gabriel (l'angelo più conservatore dell'universo e che infatti trema del compito affidatogli e cerca conforto e appoggio nella musica ma poi si rimetterà a Dio, accetterà e assolverà il compito) a me resta da scrivere la storia di Giuseppe (altra creatura cui viene dato un compito che va al di là della società in cui vive e di quello in cui ha creduto fin lì) e poi, da ultimo, quella di Gesù. La storia di Maria attraversa quella di Gabriel di Giuseppe e di Gesù, ma dovrò scriverne una anche apposta per lei.
Tornando a Gesù. Ecco le parole che mi sono venute in mente stanotte.
 " Se continuiamo a pascolare le stesse pecore per monti e valli, o meglio, se continuiamo a pascolare le pecore per gli stessi monti e le stesse valli e non inseguiremo mai quella pecora che si allontana dalle altre e ci appare sperduta ma invece forse ci apre un nuovo sentiero, come daremo nuova vita al mondo? " (notte fra 26 e 27 luglio 2013)
Cosa ne pensi?
Angie


Non saprei…seguire la pecora smarrita, che apre un nuovo sentiero, sembra che voglia dire di lasciare Gesù (il Buon Pastore) per seguire l'Anticristo. Il pensiero sarebbe valido, se fosse pronunciato da una persona che non crede nel Messia. La pecorella smarrita, rappresenta coloro che si allontanano dalla Buona Novella, coloro che non amano Cristo. Allora lui va, il Buon Pastore, e cerca di recuperarla, lasciando le altre 99 pecore da sole, ben sapendo che, essendo ubbidienti alla Sua Parola, e giuste, non fuggiranno da Lui.
Ma ho inteso quello che vorresti dire: ovvero modificare il modus operandi della Chiesa, facendo sì che allarghi i propri orizzonti, ormai ristretti. Così penso che tu volessi intendere, ma quella frase, letta da un profano, intende esattamente l'opposto, ovvero seguire chi si allontana dagli insegnamenti evangelici.
Dani




Pensavo che Gesù andasse in cerca della pecorella smarrita per paura che morisse di freddo nella notte o che venisse divorata dai lupi. Quindi l'ho sempre inteso come un atto di amore puro senza alcun retrogusto di giudizio negativo perché si era sperduta.
La mia pecora significa invece chi tenta qualcosa di nuovo e indica una nuova via.
Capisco che, clericalmente parlando, bisognerebbe prima vagliare sondare scrutare… Ma è proprio questo che l'umanità sta facendo: trattenersi in mezzo a guai certi (che poi per alcuni non sono affatto guai ma prosperità, i ricchi prosperano sulle fragilità dei poveri) invece che aprire un occhio e lasciare che almeno quell'occhio veda, finalmente, qualcos'altro.
Angie


Mi è piaciuto aprire un dialogo serio, con te, Angie. Non si tratta di un monologo da parte mia o tua. Questo è un argomento attuale, e sempre valido. Certo che Gesù ha cercato la pecorella smarrita, affinché non finisse nel dirupo, durante la notte, o non fosse sbranata dai lupi famelici. Certo che Lui è venuto per i piccoli (intesi non tanto come bambini, ma come i figli di un dio minore, quelli che non hanno nulla, né beni materiali, né cultura, né chi,soprattutto e molto più importante, LI AMI così come sono. Senza impalcature, costruzioni, o altro.
Vedi, dovremmo mettere insieme queste nostre email, e farne un racconto dialogato. Ne verrebbe fuori qualcosa in interessante. 
La Leggenda del dolce è la descrizione di un qualsiasi popolo sventurato, mal governato, povero in canna. E della fatica di vivere. Ma parla anche di speranza: quella della confezione di tanti dolci, che potrebbero cambiare la vita e l'economia di una famiglia. Ho inteso bene?
Dani


Riporto le tue parole:
' La Leggenda del dolce è la descrizione di un qualsiasi popolo sventurato, mal governato, povero in canna. E della fatica di vivere. Ma parla anche di speranza: quella della confezione di tanti dolci, che potrebbero cambiare la vita e l'economia di una famiglia. '
" E' qualcosa di più della speranza di confezionare tanti dolci, questa non è che la conseguenza di aver visto con occhio più attento qualcosa (il dolce) che poteva diventare qualcos'altro e averci messo il cuore che ognuno di noi ha (Nigel aveva solo frutta candita) per trasformare ciò che era più simile al tronco secco di un albero, nella vita di un pandolce che sfamasse il popolo senza speranza attraverso il suo stesso cuocerlo e sfornarlo per se stesso e per gli altri.
Del dolce Nigel ha una visione, la sua è un'idea che cambia e migliora. Così spero che faccia ognuno di noi, ognuno con le sue possibilità. "

Volevi il dialogo? L'ho aperto.
Angie     



(tra Ferrara e Legnano: 26,27,28 luglio 2013)


NB: La Leggenda del dolce, della quale Nigel è il personaggio citato, è un breve racconto della scrittrice Angela Fabbri, così come Lucifero e Gabriel.

Chi desiderasse ampliare l'argomento, e da dialogo diventasse una piattaforma dove chiunque possa esprimere liberamente i proprio parere, saremo liete di leggerne i commenti

sabato, luglio 27

Galleria d'arte: Varianti donna pensosa


Quanti modi per dare colore, luminosità, sfumature, contrasti, ad un unico quadro, il primo della serie, per modificarlo! Il dipinto è stato realizzato da me, tanti anni fa


Danila Oppio

Riccardo Cocciante - Bella (Notre Dame de Paris)




Meravigliosa! Ringrazio Anna Montella per averla ancora proposta...brividi zingareschi!

Una campana





Una campana serena
crucificada en su ritmo
define a la mañana
con peluca de niebla
y arroyos de lágrimas.
Mi viejo chopo
turbio de ruiseñores
esperaba
poner entre las hierbas
sus ramas
mucho antes que el otoño
lo dorara.
Pero los puntales
de mis miradas
lo sostenìan
¡Viejo chopo, aguarda!
¿No sientes la madera
de mi amor desgarrada?
Tiéndete en la pradera
cuando cruja mi alma,
que un vendaval de besos
y palabras
ha dejado rendida,
lacerada.

§
Una campana serena
crocifissa nel suo ritmo
delinea il mattino
in una parrucca di nebbia
e fiumi di lacrime.
Il mio vecchio pioppo
turbolento di usignoli
sperava
di disporre i suoi rami
tra le erbe
molto prima che l’autunno
indorasse.
Ma lo sosteneva
l’appoggio dei miei sguardi.
Vecchio pioppo, attento!
Non senti com’è spezzato
il legno del mio amore?
Distenditi sul prato
quando la mia anima scricchiola,
abbandonata com’è stata
da un uragano di parole
e baci,
prostrata e straziata.

FEDERICO GARCIA LORCA